Kantemirowka, 17 dicembre 1942.
Carissimo figlio mio,
ti scrivo per dirti che qui va tutto bene. Non so da voi come è l’inverno, spero che abbiate abbastanza legna per la stufa e che i conigli siano grassi e pronti da farsi mettere in padella con olio, burro e rosmarino. Sono sicuro che tu e la mamma passerete un bel Natale insieme con i nonni, gli zii e i cuginetti.
Noi qui faremo il nostro Natale da soldati, ma in allegria, perché il cuoco mi ha mostrato polli, tacchini, fagiani, capponi e tutto un ben di Dio che non riusciresti neanche a immaginare: ci saranno porzioni doppie per i soldati e triple per chi sta di sentinella, e fiaschi di vino a volontà. Non stare in pensiero per me, perché qui non ci manca niente. Abbiamo cappotti foderati di pelliccia, guanti che tengono così caldo che ogni tanto bisogna levarseli per non farsi scottare le dita, e stivaletti imbottiti che pare di avere sui piedi le borse dell’acqua bollente. Si sta proprio bene, qui in Russia. Non è vero che fa così freddo: c’è un po’ di neve ma mica tanta, il giusto per ricordarci che fra poco è Natale.
Quando non siamo di guardia giochiamo a biliardo, a tennis e a calcio, e potrai essere fiero di me, perché ho vinto un sacco di premi: coppe, medaglie, salami, prosciutti… Certo, sento molto la mancanza tua e della mamma, ma sono sicuro di tornare presto a casa, perché i Russi si arrendono appena ci vedono: ci chiedono se siamo italiani e subito alzano le mani e si fanno prendere prigionieri. Sono buoni diavoli anche loro, gente di campagna come noi, e fra persone semplici ci si capisce anche senza bisogno di parlare.
Ti auguro Buon Natale, figlio mio, e ti sorrido con la bocca e con il cuore.
Abbraccia la mamma per me, soprattutto quando la vedi piangere abbracciala più forte che puoi.
Tuo papà
Fiorella Borin, Venezia.